mercoledì 13 ottobre 2010

Vendola VS Grillo: "Fa semplificazioni urlate"



Ospite della trasmissione "In Onda", il vate Nichi risponde alle domande poste da Telese sulla sanità (senza dare una risposta) e sulla sua politica ambientale. Ma prima ancora si lancia in un'arringa al fiele contro Beppe Grillo. Quest'ultimo è descritto come un latore di "contumelie", di "semplificazioni urlate" e di "abracadabra". Secondo Nichi "la destra ha vinto anche perchè ha stimolato un certo plebeismo culturale, una sorta di primitivismo".
E' necessario, insomma, "ingentilile il linguaggio e irrobustire il pensiero", perchè la politica di Grillo, "fatta con il linguaggio di Savonarola, con l'indice puntato, il "j'accuse", non presuppone la possibilità del dialogo, ma c'è un monologo che talvolta è virulento, che coglie dappertutto elementi di complotto e di congiura".

Caso Annozero, sit-in di protesta in viale Mazzini



Italia Serbia: responsabilità anche dell'Italia

Critiche esplicite giungono anche dalle autorità di Belgrado: i preparativi per l’incontro Italia-Serbia non sono stati fatti bene, ha detto il ministro degli interni e vicepremier serbo Ivica Dacic: «un piccolo gruppo di tifosi è riuscito a influenzare la sospensione della partita».

Il ministro, già portavoce del partito socialista di Slobodan Milosevic, ha anche sottolineato che la polizia italiana non ha chiesto notizie a quella serba. Anche il viceministro dello Sport della Serbia, Dragan Tanasov, si chiede «come sia stato possibile che gli hooligans abbiano potuto portare dentro quell’armamentario pirotecnico».

Il viceministro, che si è scusato con l’Italia per i disordini provocati ieri dagli ultrà della Serbia prima, durante e dopo la partita con l’Italia e dei danni arrecati all’Italia, ha sottolineato che «il danno maggiore lo ha ricevuto la Serbia».

Gli scontri di ieri, secondo l’esponente governativo, fanno sorgere «numerosi interrogativi. I controlli, di solito, sono a tappeto e non si capisce come abbiano fatto ad entrare nello stadio con tutte quelle armi. Non si capisce, ancora di più, come prima della partita un gruppo di hooligans abbia potuto bloccare il pullman della nazionale serba e ferire il portiere».

Mentre l’ambasciatrice serba a Roma Sanda Raskovic, nell’esprimere il disagio di un «intero popolo» per le azioni messe in atto dagli ultrà serbi, accusa la polizia italiana e della Serbia di non aver «agito con cautela» e di non aver saputo «prevenire». 

Ma Maroni spiega che da Belgrado sono giunte al Viminale solo informative burocratiche e di routine, prive di alcun allarme. L’Osservatorio delle manifestazioni sportive ammette ’smagliaturè nel sistema informativo e carenze nei controlli all’ingresso dello stadio di Marassi, ma smentisce che ci sia stata una sottovalutazione dell’evento. Il conto dei danni intanto ammonta a 80 mila euro e il comune di Genova si costituirà parte lesa. Infine, il leader della Lega, Umberto Bossi, invita a non confondere i tifosi rei dei disordini con «il grande popolo serbo».

martedì 12 ottobre 2010

Mani mafiose sulla democrazia

Mani mafiose sulla democrazia
di ROBERTO SAVIANO

Vi racconto una storia, una storia semplice, facile da capire. Una storia che dovrebbero conoscere tutti e che i pochi che la conoscono tengono per sé. Come si truccano i voti, come si controllano le elezioni, come fanno i clan criminali a gestire il voto. L'organizzazione si procura schede elettorali identiche a quelle che l'elettore trova ai seggi, tramite scrutatori amici e in alcuni casi dalle stamperie stesse. Le compila e le tiene lì. L'elettore che vuole vendere il suo voto va da referenti del clan e riceve la scheda elettorale già compilata. Si reca al seggio presenta il proprio documento di riconoscimento e riceve la scheda regolare. In cabina sostituisce la scheda data dal clan già compilata con la scheda che ha ricevuto al seggio, che si mette in tasca.

Esce dalla cabina elettorale e consegna al seggio la scheda ottenuta dal clan. Poi va via. Torna dagli uomini del clan, dà la scheda non votata e riceve i soldi. La scheda non votata e consegnata agli uomini del clan viene compilata, votata, e data all'elettore successivo che la prende e tornerà con una pulita. E avrà il suo obolo. Cinquanta euro, cento, centociquanta o un cellulare. O una piccola assunzione se è fortunato e il clan riesce a piazzare tutti i politici che vuole.

Ecco come funzionano le elezioni in alcune parti del Paese. Avevamo da queste colonne lanciato una provocazione durante le ultime elezioni amministrative. Avevamo chiesto all'Osce, all'Onu, all'Unione europea di poter monitorare le elezioni amministrative. Non nelle capitali, non nelle città più in vista dove spesso fanno studi e osservano. Ma nei posti di provincia dove il condizionamento è capillare e costante, dove i candidati sono direttamente imposti ai partiti dalle organizzazioni criminali. Il presidente della commissione antimafia Pisanu conferma che le amministrative hanno visto nelle liste candidati impresentabili, uomini e donne decisi direttamente dalle organizzazioni criminali. La richiesta di aiuto all'Onu era naturalmente una provocazione, un modo per sottolineare che da soli non ce la facciamo. Che le mafie sono un problema internazionale e quindi solo una forza internazionale può estirparle.

Quando un'organizzazione può decidere del destino di un partito controllandone le tessere, quando può pesare sul governo di una Regione, quando può infiltrarsi con assoluta dimestichezza e altrettanta noncuranza in opposizione e maggioranza, quando può decidere le sorti di quasi sei milioni di cittadini, non ci troviamo di fronte a un'emergenza, a un'anomalia, a un "caso Campania" o a un "caso Calabria": ci troviamo al cospetto di una presa di potere già avvenuta della quale ora riusciamo semplicemente a mettere insieme alcuni segni e sintomi palesi. Il Pdl in molte parti del Sud ha candidato colpevolmente personaggi condannati o indagati per mafia.

Tutti i proclami di contrasto alle organizzazioni criminali si sono vanificati al momento di scrivere le liste elettorali: persino quello che di buono era stato fatto nell'ambito repressivo è stato vanificato. Tutto compromesso perché bisogna dare la priorità ai voti e agli affari e quando dai priorità ai voti e agli affari, dai priorità alle mafie. Il centrosinistra ha cercato un maggiore controllo non sempre riuscendoci. Dalla svolta, che sembrava avvenuta con lo slogan "Mafiosi non votateci" alla deriva che arrivò con l'iscrizione al Pd in un solo pomeriggio a Napoli di seimila persone. Il tentativo di incidere sulle primarie aveva portato ambienti vicini ai clan ad entrare nel partito per condizionarne i leader.

Il codice etico elettorale viene sbandierato quando si è molto lontani dalle elezioni e poi dimenticato quando bisogna candidare chi ti porta voti. Conviene essere contro le organizzazioni, ma se questo significa perdere? Cosa fai? Compromesso o sconfitta? Tutti rispondono compromesso. E questo perché la politica sembra essersi ridotta a mero strumento che usi per ottenere quello che il diritto non ti dà. Se non hai un lavoro, cerchi di ottenerlo votando quel politico; se non hai un buon letto in ospedale, cerchi di votare il consigliere comunale che ti farà il favore di procurartelo. Ecco, questo sta diventando la politica, non più rispetto dei diritti fondamentali, ma semplice scambio. Quello che si fatica a comprendere, è che il politico che ti promette favori ti dà una cosa ma ti toglie tutto il resto. Ti dà il letto in ospedale per tua nonna, ti dà magari l'autorizzazione ad aprire un negozio di tabacchi, ti dà mezzo lavoro: ma ti sta togliendo tutto. Ti toglie le scuole che dovresti avere per diritto. Ti toglie la possibilità di respirare aria sana, ti toglie il lavoro che ti meriti se sei capace. Questa è diventata la politica italiana: se non ne prendiamo atto, si discute su un equivoco.

La macchina del fango, lo strumento che in certi ambienti del governo si utilizza per terrorizzare chiunque osi contrastare è mutuato direttamente dal comportamento delle mafie. Diffamazione, delegittimazione costante, è la criminalità che ci ha insegnato questo metodo che si sta dimostrando infallibile: far credere che tutto sia sporco, che non valga la pena più di credere in niente. Se fossimo un altro paese si invaliderebbero le elezioni, se fossimo un altro paese si chiederebbe aiuto agli organismi internazionali, se fossimo in un altro paese, un potere pubblico condizionato dalle organizzazioni criminali a destra come a sinistra sarebbe disconosciuto. Ma non siamo un altro paese. Ci resta solo la possibilità, che dobbiamo difendere con tutto quello che abbiamo, di raccontare, osservare, capire e dire come stanno le cose: che l'Italia è una democrazia, ma è anche una democrazia a voto mafioso.
©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara



(13 ottobre 2010)